Porgo i saluti all’onorevole Ministro, al Magnifico Rettore, a madame
Ardern, alle studentesse e agli studenti, alla Direttrice generale, alle
autorità accademiche, alle colleghe e ai colleghi, a tutte le autorità, alle
professoresse e ai professori, a tutti gli ospiti.

Questa è tradizionalmente l’occasione per esprimere il punto di vista del
personale tecnico amministrativo, bibliotecario e dei collaboratori
linguistici CEL, rispetto all’andamento delle attività lavorative, rispetto ai
progetti e ai risultati di questa nostra comunità di saperi, di professionalità,
ma soprattutto di questa nostra comunità di persone.
È anche tradizionalmente l’occasione in cui illustrare richieste e auspici,
sviluppi e avanzamenti connessi all’organizzazione del lavoro - e perché no
– rivendicare conquiste sindacali, o obiettivi per l’anno accademico che

andiamo ad inaugurare. Sempre dal punto di vista del personale tecnico-
amministrativo.

Ebbene posso anticipare che oggi non sarà così. O meglio non lo sarà nel
senso che ci si potrebbe per tradizione aspettare. Sia chiaro, non perché il
lavoro e il contributo dei tecnici-amministrativi, dei CEL e dei bibliotecari
dell’Ateneo non sia da sottolineare, valorizzare e dunque ricordare anche in
questa occasione solenne.
Ma verrebbe da ripetere il memorabile incipit di un componimento di
Salvatore Quasimodo: “E come potevamo noi cantare...”
Come potevamo parlare di queste cose; di quella sfera di questioni, come il
lavoro, che in fondo è un orizzonte di vita ordinario, con i suoi conflitti, i
suoi affanni, ma anche con le sue gioie, le soddisfazioni e i legami affettivi.
Come potevamo parlare di quella che per tutti noi è vita. Semplicemente
LA vita.

Come potevamo far finta di niente mentre appena un passo più in là;
appena “poco oltre” come ormai possiamo definire un confine nazionale,
vi è morte, violenza e distruzione. In una parola vi è la guerra.
Fino all’altro ieri il mondo - talvolta ottusamente come ci ha dimostrato
invece IERI il Covid – veniva dipinto come entusiastico,sconfinato “villaggio
globale” per i flussi finanziari e la circolazione delle merci. Ma era anche un
mondo giusto per le donne e gli uomini delle tante e ricche culture diverse
che abitano questo “villaggio globale”? Era un mondo rispettoso
dell’ambiente, della nostra casa comune? Ma questa è un’altra questione.
Anche se poi non più di tanto è un’altra questione, se un altro poeta ha
potuto parlare del mar Mediterraneo, che ha sempre accompagnato lo
sviluppo della civiltà europea, definendolo il “cimitero liquido”.
Insomma, per sussulto etico di quella comunità di persone di cui si è detto
prima, sospinti da tante colleghe e colleghi, poche settimane fa, la quasi
totalità delle rappresentanze sindacali si è riunita e all’unanimità ha
lanciato un accorato e forte appello al Magnifico Rettore e alla governance
d’Ateneo tutta, per ribadire il valore assoluto della pace e della difesa dei
diritti umani.
Questi valori hanno bisogno di azioni concrete per realizzarsi e pertanto si
è chiesto al Magnifico Rettore di continuare a impegnarsi fattivamente e a
portare avanti, in tutte le sedi, azioni tangibili in coerenza con l’art.11 della
Costituzione della Repubblica Italiana – della nostra bella Costituzione.
Articolo nel quale si ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà
degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali; e anche in coerenza con i principi della Magna Charta
Universitatum, redatta su proposta del nostro antico Ateneo e fino ad oggi
sottoscritta da oltre ottocento università in tutto il mondo.
Tra le azioni concrete più urgenti sono state segnalate:
- l’adesione alla richiesta di cessazione immediata di tutte le azioni
armate per tutti i conflitti in corso, allo scopo di mettere fine alla
morte di migliaia di civili e al bombardamento indiscriminato di intere

città. Il Senato Accademico nella seduta di ieri si è espresso a favore
di una mozione analoga.
- l’adesione all’appello per aprire canali diplomatici e corridoi umanitari
e sanitari per aiutare i civili bisognosi di soccorso e scongiurare
epidemie, morti per fame, nonché all’appello per la liberazione degli
ostaggi detenuti presso tutte le parti;
- predisporre forme concrete di sostegno accademico per studenti,
ricercatori e docenti universitari, così come programmi di mobilità per
studio o ricerca, ovvero percorsi di specializzazione per gli
appartenenti alle istituzioni accademiche gravemente danneggiate
dal conflitto israelo-palestinese, in analogia con quanto già realizzato
per la guerra tra Russia e Ucraina.
- intraprendere azioni di opposizione istituzionale da parte della
comunità accademica attraverso la mappatura e la sospensione degli
accordi con soggetti direttamente o indirettamente compromessi con
i conflitti armati in atto.
- dare realizzazione, con ancora maggior impulso, all’interno
dell’Ateneo a principi e pratiche di condotta etica ispirati alla
costruzione di una diffusa cultura della pace, anche in funzione dei
rapporti con le imprese e con le istituzioni nell’ambito della ricerca,
della didattica e della terza missione.
Tutto ciò è senz’altro rilevante anche per tutelare la reputazione dell’Ateneo
rispetto a possibili rapporti con soggetti che possano risultare coinvolti in
interessi di ambito bellico.
Preme sottolineare che con ciò non si rinuncia a capire i fatti, a leggere la
realtà, ad analizzare con spirito critico genesi e responsabilità di ciò che
accade. Diversamente, si rinuncerebbe alla missione alta e costituzionale
dell’Università. Perché capire i fenomeni in modo ampio e critico è forse il
primo passo per accogliere e gestire il conflitto e per far emergere nuove
idee e poi imparare a dialogare. Inserito in questo orizzonte etico, capace
anche di guardare in faccia le conflittualità ad ogni livello, il lavoro
quotidiano di tutti noi, lo studio, la didattica, la ricerca, l’innovazione, sono

forse per la nostra comunità anche un costante esercizio di educazione e di
costruzione di una cultura di pace.
Questa è l’Università a cui tutte e tutti siamo orgogliosi di appartenere e di
far crescere con il nostro lavoro quotidiano, in qualità di tecnici
amministrativi, bibliotecari e CEL.
Permettetemi di concludere con una citazione di Don Lorenzo Milani
riguardo alla prona accettazione della logica della guerra:
[Bisogna] Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per
cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle
tentazioni.
La nostra istituzione, la nostra comunità, forse più di altre è chiamata ogni
giorno a costruire e a trasmettere il senso di questa sovranità, che è il senso
profondo di una umanità piena e autentica; ricca di sfumature, accogliente,
intelligente, civile e solidale.
Vi ringrazio.

 

Federico Barbino

Rsu Flc-Cgil Bologna